«Gli artisti! Giocattoli, più o meno ingegnosamente eleganti, che servono a distrarre l’umanità dalle noie della vita » .

Incantevole. Forse non è la parola chiave per decifrare il misterioso potere di fascinazione che suscitano le opere di Giuseppe Ferrari, pittore del Novecento (1904-1972), ma rende l’idea.

Ed è vero incanto quello che si prova alla vista delle quasi cento opere esposte a Palazzo Borea d’Olmo in occasione dell’antologica dedicatagli nel centenario della nascita. Una raccolta personale in progressione di oli, acquerelli, lito­grafie, schizzi e disegni; propositiva di un’ampia selezione d’opere appar­tenenti a cicli pittorici realizzati a partire dalla fine degli anni venti al 1970: i ritratti, i nudi, i paesaggi, le città. La rassegna recupera così quasi per intero la considerevole produzio­ne pittorica e grafica dell’artista, caratterizzata da versatilità tematica e stilistica.

Certo, una mostra del pittore Ferrari è pur sempre uno spettacolo per le duttili risorse della sua fanta­sia, che non altera la qualità sponta­nea di cui egli è dotato, essendo Ferrari un artista colto e le cui rap­presentazioni hanno il pregio della tonalità felice e dell’unità poetica.

Giuseppe Leonardo Lorenzo Ferrari nasce a Sanremo il 19 luglio 1904 da Giovanni Battista, allora capo dell’ufficio telegrafico di Sanremo, e Bianca Sappia, esponen­te di una delle più antiche e nobili famiglie della Liguria.

Vecchio
Vecchio 1925

Dopo la maturità classica conse­guita al Liceo Cassini, prosegue gli studi all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, completando la formazione a Genova, ove si diploma in disegno e architettura. A Milano si perfeziona in pittura all’Accademia di Brera: sotto l’egida del Mo Ambrogio Alciati si dedicò tutto al ritratto, apprendendo una tecnica sicura, di largo impasto e di giusta osservazione. L’ambiente milanese, dominato – dall’alto della cattedra di Brera – da Alciati, non poteva non favorire una personalità artistica come Ferrari che infatti sentì forte lo stimolo del maestro. Di tipica ascendenza lombarda, e, con sensibilità del tutto particolare, sono i ritratti di questo periodo: il suo istinto, denso di qualità di pitto­re nato, è dimostrato nel ritratto di “Vecchio”, ove la robusta tecnica rispecchia la scuola ricevuta.

Ritrattista di talento, felice per la qualità di stesura e d’impasto della tavolozza, è pittore che trasmette con sensibilità ed immediatezza l’in­timo della natura umana. Nella ritrattistica mondana e ufficiale si sofferma soprattutto sul rigore forma­ le e compositivo e sull’intimità espressiva. Il dipinto “Signora di Bussana” risente ancora degli inse­gnamenti accademici appresi durante gli studi a Brera, in particolare nel­l’attenzione prestata ai dettagli, come il fiore appuntato in vita, la descrizione dell’acconciatura e quella precisa dei tratti fisionomici.

Brevi, nervose pennellate volte a ritrarre lo spirito dei soggetti dell’ar­tista, interpretati con vivezza natura­listica, caratterizzeranno l’ultima ritrattistica. In essa realtà ed irrealtà si fondono in un accordo cromatico di chiara interpretazione e di armo­nica intuitività.2

A Milano ebbe modo di frequen­tare anche un corso di scultura nella convinzione che per ben dipingere occorresse anche saper modellare la creta e qualsiasi altro materiale; solo così il soggetto dipinto sarebbe stato saldamente impresso sulla tela.

In questi anni strinse legami di amicizia con Giacomo Manzù.

« Amai sempre studiare ogni forma d’arte, dalla scultura all’incisione e alla pittura; e con quest’ultimo mezzo trat tai indifferentemente ogni genere: paesaggi, animali , nudo, figura . Tutto serve per poter giungere al ritratto. Chi sa fare il ritratto, sa fare ogni altra cosa: è questa certamente la più alta espressione dell’arte pittorica!  E la pittura si giova molto della scultura.
Per costruire
saldamente una testa sulla tela bisogna saperla plasmare con la creta ».3

Giuseppe Ferrari presenta un’eccezionale maturità di disposizioni artistiche che testimoniano un autentico temperamento originale: in lui i doni della sensibilità, della fantasia, e dell’impegno stilistico si alleano a una memoria visiva che documenta l’ampiezza dei suoi interessi culturali e poetici.

Di fatto rientrato a Sanremo nel 1927, anno della morte del padre (avvertito mentre eseguiva col Bettinelli i restauri dell’Abbazia in Valganna – prov. di Varese)4; il clima culturale è quanto mai stimolante. Ai tempi delle gestioni Lurati e De Santis diviene Capo dell’Ufficio Stampa del Casino Municipale. Ha così modo di conoscere i più bei nomi del mondo dello spettacolo e della cultura e di vivere la nascita di numerose manifestazioni.

Manifesto Carnevale
Manifesto del Carnevale di San Remo del 1929

A questo periodo appartiene l’im­portante collezione esposta in mostra dedicata alla grafica d’illustrazione, a lla scenografia, alla litografia di manifesti pubblicitari.

Campo privilegiato per accogliere disegni e caricature furono le pagine del Gazzettino della Riviera dei Fiori, da lui fondato assieme all’ami­co Antonio Rubino.

La nutrita serie grafica vede rap­ presentazioni realizzate con spirito acuto e disincantato e lo rivela quale disegnatore di    prodigiosa efficacia, dal tratto caustico e sapido, dinamico nel catturare il carattere o le abitudini dell’effigiato.
Se i ritratti caricaturali svelano una vena grafica incisiva, fatta di tratti veloci, di rapidi schizzi, ove linee e punti sono gli elementi con cui gioca il vignettista;  la produzione di manifesti (per l’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di cui splendido esempio è la cromolitografia per il Carnevale del  1929)5 fu tecnica alla quale l’artista si dedicò con passione elaborando straordinarie  invenzioni – per il sintetismo della forma, il segno elastico e slanciato, i piani cromatici vigorosi.
Se nella prima produzione si avverte un cedimento al gusto più richiesto dal mercato, il cammino pittorico di Ferrari oscilla e si dibatte poi tra continuità del linguaggio pit­torico tipico dell’accademismo e ansia di rinnovamento sorretta da un’accesa sensibilità cromatica e da un’eccezionale ricerca luministica; caratteri che qualificano l’immediatezza talora febbrile dei suoi bozzetti.
Gradatamente la sua pittura viene perciò modificandosi, rivelando qualcosa di nuovo: la tavolozza cambia, diventa più brillante; si fa pittore sapiente, immaginoso nelle colorazioni e negli spazi cromatici. La maestria esecutiva diviene valido sostegno di un discorso che si basa su un rinnovamento linguistico volto nell’accoppiamento dei colori ad ottenere certi impasti che danno dei meravigliosi effetti, specie quando va all ricerca dei colori vivi che ottiene dopo avrer svolto una ricerca personale.

Nella realizzazione dei nudi segue una sua poetica ben definita. La materia è animata da un corposo colorismo e da un’agile e vivace sensibilità luministica, senza mai cedere alle lusinghe di un colore intenso per sé. Il contatto della luce con le cose, le quali interessano soprattutto per la qualità delle loro superfici, crea un mondo percorso da sottili vibrazioni. La novità delle nuove opere, sul piano del linguaggio, è il fotografico inserto del corpo umano nudo preso nell’istante stesso che entra nell’intimo contatto con la natura. Non v’è dubbio dunque: in quell’incontro è implicito l’artista, non più come attore, ma certo come tramite tra idea e fruitore. Ferrari lavora con lena, arricchito di quello che immagina, spesso trascura le acconciature e i riferimenti da manuale, per sentirsi libero di creare e creare, seguendo la prorompente ispirazione.

Artisticamente il periodo più fervido copre il quarantennio 1930-70, anni costellati dalla partecipazione a molteplici rassegne d’arte: Roma, Luino, Varese, Bordighera, Sanremo, Ospedaletti accolgono le sue personali e lo vedono protagonista di numerosi riconoscimenti nelle collegiali, riportando notevole successo presso pubblico e critica.6

«La mostra dei pittori della Riviera dei Fiori, ordinata con squisito buon gusto nelle luminose sale del “Covegno”, non ha richiamato l’attenzione del Sindaco e dei componenti l’Amministrazione civica, mentre ha interessato moltissimo il pubblico cosmopolita di Sanremo che continua a visitarla con palese interesse.

[ . . . ] Gli artisti che in questa mostra si presentano con opere di maggior respiro sono [ . . . ]  Giuseppe Ferrari che nei suoi bellissimi flo-masters colorati, ricchi di toni velati, gustati a fondo, a ritmi spaziali concretati con rara sapienza tecnica, ha chiuso ampi respiri di poesia».7

«Questa mostra “Pittori della Riviera dei Fiori”,si presenta con la spontaneità disinvolta di una improvvisazione [ . . . ] sentiamo che il temperamento di ciascuno è espresso, per sintesi, e con verità e in libertà [ . . . ]  la mostra è vitalissima [ . . . ]  senza alcun dubbio, la più bella di questi ultimi anni a Sanremo. Ogni artista ha lavorato senza “prepararsi”, senza costringersi, senza forzarsi per essere o sembrare “à la page”. Non ne ha avuto tempo, e perciò è stato ed è rimasto solo lui. Guardiamoli ora più da vicino questi pittori ponentini [ . . . ] Giuseppe Ferrari lo ritroviamo tecnica mente rinnovato in una terza maniera: tre fantasiosi “flo masters” colorati con un procedimento personale, ricco di effetti per la giusta interpretazione dei toni e delle mezze luci tenute su un piano di notevole abilità»8.

«Ed eccoci infine ai pittori “nostri” cioè che vivono e lavorano in questa nostra provincia. Artisti ci piace rilevare che sono stati raggruppati a parte dal comitato organizzatore per un defe rente senso d’ospitalità verso gli invitati di fuori, ma che come i migliori di essi, vanno considerati primi fra i primi.

[…] Del quale nominato Giuseppe, alias Pipin, pittore, musicologo, anche nostro valoroso collega il più patito rievocatore degli antichi fasti di Sanremo e delle fortune del Rigolé, cos’altro dire se non che premio più meritato quello dell’E.P.T. – non poteva che toccare che a lui, e proprio per la sua opera “Il Rigolé”? Vi riconosci l‘aria e l’anima del crocicchio famoso, senti anche tu che Pipin l‘ha fatto col cuore» 9.

«La Nassa d’oro 1959, la terza mostra d’arte matuziana a cura del “Circolo degli Artisti” e sotto il patrocinio del Comune, è tornata alle origini cioè in piazza Bresca, tra il consenso generale, le vecchie case e la fresca marina, gli invitanti e accoglienti locali all’insegna del buon pesce e del buon vino propizi al corpo e allo spirito, dunque anche all’apprezzamento, alla “degustazione” dell’arte. Nella fattispecie, un’arte fuori dal chiuso d’una sala, all’aria libera, in visione diretta per il popolo. Sono una quarantina i suoi attuali protagonisti, con almeno trecento opere lungo il pannello a zig zag che, pur isolandole, non le estromette dalla piazza.

[ ] Di Giuseppe Ferrari (uno di quegli artisti di cui s’è detto in principio, a proposito dei quali bisognerebbe torna e a parte), citiamo per tutti lo stupendo olio di “San Costanzo”» 10 .

Gli anni compresi tra il 1957 e il 1961 lo vedono ricoprire la carica di Presidente della Famija Sanremasca, facendosi così promotore, mediante iniziative sociali e culturali volte alla conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico-linguistico-folcloristico, di un significativo contributo a favore della Comunità.

« La sera del 17 dicembre un gruppo di sanremaschi si era riunito in via Morardo dov’era la biblioteca civica e aveva gettato le basi per la costituzione della Famija Sanremasca . Nelle intenzioni doveva essere formata in due sezioni: una per gli studi storici, gli usi o costumi, e l’altra per le manifestazioni folcloristiche. Erano presenti i rappresentanti di alcune vecchie famiglie sanremesi e con loro alcuni noti personaggi della città: Stefano Canepa, Giorgio Baldi, Arturo Bacherini, Franco Forneris, Emilio Bosso, Giuseppe Ferrari, Mario Ferodi, Antonio Moretti, Antonio Maccario, Mario Carasi e Jolanda Lazzarini, che formarono il comitato promotore. L’atto costitutivo sarebbe avvenuto alla presenza del notaio Giacomo Birone, il 15 aprile del 1957. Primo Presidente sarebbe stato il giornalista prof. Giuseppe Ferrari, vice presidenti: Franco Forneris ed Ersilio Bosso.

Nell’assumere la carica nell’aprile dell’anno successivo tra l’altro Ferrari avrebbe detto: “. . . Dichiaro apertamente di amare questo lembo di terra mediterranea e di volerlo bello, prosperoso nel ricordo delle sue antiche tradizioni” » .11

Tuttavia è il 1959 a segnare una data importante della sua vita artistica: già da diversi anni professore della cattedra di disegno diviene vice preside del Collegio San Giorgio, meritandosi l’ammirazione e l’amore dei suoi allievi, che lo ebbero caro per il valore e per la prodiga meticolosità profusa nell’insegnamento.12

È l’anno in cui inizia progressiva­mente a ridurre la produzione ad olio per dedicarsi maggiormente alla rea­lizzazione di acquerelli che divengo­no tecnica d’esecuzione pittorica prediletta dall’artista. Intensi per valore espressivo appaiono investiti da colore atmosferico, che trascorre in modulazioni tonali e sfumature di suggestione preziosa: essi sono testi­monianza del raggiunto e armonioso accordo tra l’uomo e la realtà che lo circonda.

Squisito colorista, realizza opere intrise di dinamismo ed energia pro­duttiva. Il fascino di questa collezio­ne consiste soprattutto nell’essere specchio d’un arte che si esprime liberamente e dimostra grande capa­cità di amalgamare luci e colori – volumi e spazi con risultati di straor­ dinario acceso cromatismo. L’audacia con cui l’artista concepisce la natura è pari a quella delle sue esuberanti tessiture cromatiche. Raffigurazioni di spazi architettonici e di elementi di natura in vigorosi acquerelli, pieni di disinvolta modernità e caratteriz­zati da tecnica esecutoria personalis­sima: traccia su cartoncino Bristol lucido il disegno a pennarello per poi utilizzare l’acquerello in modo corpo­so ed indi velare il tutto sotto l’acqua e stendere ad asciugare.13

Una preziosa tessitura pittorica, una immensa libertà di visione  e di linguaggio, fanno del Ferrari un valente interprete dell’acquerello. Egli riesce ad ottenere una rara flui­dità espressiva nella sfera delicata di tale tecnica ove non è facile attinge­re risultati felici. Per poter realizzare degli acquarelli insoliti bisogna esse­re degli esecutori magistrali: Giuseppe Ferrari lo è. Inoltre egli possiede il gusto dell’impaginazione elegante, sapendo dare a tutte le sue opere l’ariosità e la purezza della visione pittorica.

L’originalità dell’interpretazione della natura di Ferrari risiede nella sua capacità di filtrare e rileggere ogni volta gli stimoli della realtà attraverso l’ampio repertorio delle sue fonti culturali, che vanno dalla grande tradizione del paesaggio clas­sico secentesco e della veduta sette­centesca14 fino alle interpretazioni romantiche. È sempre, nel respiro vibrante delle sue composizioni, una sottile inclinazione sentimentale in cui l’emozione suscitata dalla natura si esprime in finissime ricerche lumi­nistiche di trasparenze e rifrazioni colorate.

Il paesaggio è il suo tema preferi­to, assieme al ritratto, specialmente colto nelle angolazioni più suggesti­ve. La sua “maniera” si può situare in un espressionismo corretto da un gus to mediterraneo, che, segnata­ mente nella produzione più recente, ha assunto quelle accensioni croma­ tiche proprie della terra d’origine dell’artista; da qui nascono le pen­nellate pastose, moderne, sciolte e fermamente decise dei suoi oli.

Gli stessi effetti superbi si ritrova­no in certi momenti della sua produ­zione nella misura e nei limiti dei bozzetti, ove meglio controlla la faci­lità di stesura e di effetti coloristici che mai cade nel convenzionalismo e nella banalità. Negli studi emergo­no chiaramente le preoccupazioni del Ferrari di resa dei valori cromati­co-luminosi attraverso le possibilità specifiche di quel mezzo.

La pittura di paesaggio conosce in Ferrari uno sviluppo rigoglioso e fecondo: per dare fondamento plasti­co e costruttivo alla pittura, fa sua sia la teoria divisionista del colore sia l’esperienza del sentimentalismo di Van Gogh e del decorativismo di Gauguin. Nell’affrontare iconografie tratte dalla realtà che lo circonda – figure e paesaggi per lo più – non dimentica il referente naturalistico e le leggi della verosimiglianza per impaginare accese composizioni di tinte squillanti, rese con tocchi rapi­di ove gli accostamenti cromatici sono finalizzati all’espressione di nuove armonie, di suggestioni emoti­ve prodotte dalla percezione della realtà, di cui interprete assoluto è il colore con i suoi fragranti inediti rapporti.

Tanto il raffinato Ferrari incarna la ricerca dell’equilibrio e dell’armonia, tradotti in un cromatismo son­tuoso e gioioso; quanto l’istintivo ed appassionato Ferrari gestisce le tele con spavalderia e sfrontatezza, trasfe­rendo il suo prepotente vitalismo in una pittura dai toni vibranti.

L’asino, 1966

Non aderisce alle proposte solo formali, legate a problematiche solo pittoriche dei fauves: il suo interesse va ai contenuti, così che le sue tele, o i suoi guazzi e gli acquerelli cui pre­feribilmente si dedica, tendono ad una cromia accesa che rimanda agli smaglianti e variati colori di Matisse e dei suoi compagni. In contrapposi­zione con l’impressionismo che aveva dissolto il dato formale, ma in continuità con il neoimpressionismo di Seurat e Signac e il sintetismo di Gauguin e Denis, il “Ferrari fauves” abbraccia la riforma della pittura mediante il rinnovamento degli stru­menti linguistici: l’uso del colore innanzitutto, steso ed accostato con criteri di coerenza armonica. La con­vinzione che il colore “deve essere pensato, sognato, immaginato” è motivo per cui egli dipinge a memo­ria nello studio senza nemmeno l’au­silio del mezzo fotografico. Grazie alla luce bianca che filtra, attraverso le vetrate del suo atelier, crea effetti davvero speciali, riuscendo a trasmu­tare, attraverso il caleidoscopio delle emozioni, autentici affreschi di ango­li della Liguria, che, così, risultano ancora più caratteristici. In questa funzione creativa del colore intesa in senso nettamente espressionista, s’in­carna la visione del Ferrari, volta a rappresentare attraverso il fauvismo l’altro “polo” rispetto a Picasso15, ovvero la contrapposizione che al cubismo, inteso essenzialmente come ricerca razionale, oppone la vocazio­ne, l’incanto del colore, la contem­plazione.

« Nulla di più dannoso alla riuscita di un’opera d’Arte per l’artista di tro­ varsi legato, le mani e la fantasia da ele­menti restrittivi storici e documentari.

Certi elementi poi, oltre non aggiungere bellezza all’opera sviano l’osserva ore il quale non è obbligato a conoscere la Storia mentre ama il simbolo.

In questo caso l’artista è come il credente, il quale immagina il Santo puro da qualunque mi se ria umana; vuol conoscere la vita ma solo nella sua bellezza.

Ho provato anch’io a seguire la Storia, ma più mi addentravo e più il mio bellissimo soggetto inaridiva» .16

Nell’intensa attività degli anni produce le sue opere più felici (Processione del Corpus Domini con San Germano, La casa abbandonata, Vecchia Sanremo) o più impegnative (Meta raggiunta, Un ritorno, Il Rigolé). Raggiungendo risultati superbi nel taglio compositivo e nella ricchezza dei valori cromatici e luministici. Sicuro nel disegno, deciso nella pennellata, ha affinato con l’esperienza di tanti anni di lavoro la sua tavolozza fino a raggiungere una ragguardevole stesura cromatica: l’impasto del colore è denso e tonale specialmente nei paesaggi e negli scorci che interpreta con grande freschezza istintiva.

«Se in passato pittori modesti o illustri hanno dipinto gli incantati scorci della vecchia città, spargendo in tutto il mondo i loro quadri ovunque ammirati, se io pittore vendo ai forestieri che se le portano via a buonissimi prezzi centinaia di vedute della Scarpéta” se lo stesso accade ai miei colleghi di qui e se i forestieri continuano a fotografarsela in lungo e in largo questa Pigna benedetta, ci sarà pure un motivo.

E il motivo è che la poesia per le vecchie cose fortunatamente non è tramontata e che l’ammirazione per i nostri progenitori più o meno lontani schiva dagli esibizionismi male intesi e dalle beghe di partito con conseguenti campagne elettorali e consimili calamità odierne – permane inalterata». 17

Tanta semplicità e tanto vigore sono frutto di un convincimento profondo di istanze etiche e civili cui Ferrari resterà incrollabilmente fede­le. Lo dimostra il fatto che nella sovrabbondante produzione di acquerelli- che mai scivola nell’oratoria celebrativa e nel generalismo anedottico – le opere di Ferrari man­tengono intatte i loro valori più profondi divenendo espressione del legame con la città che è da leggersi nell’adesione convinta e partecipe dell’artista con la sua carica d’uma­nità e la scottante attualità dei suoi problemi sociali e politici.

Fra le molte azioni volte alla tute­la dei caratteri storico artistici della città natia ricordiamo la forza con cui l’artista si battè nel 1942 per il salvataggio dalla fusione a scopi bel­lici del monumento a Giuseppe Garibaldi di Leonardo Bistolfi18 che si impone per ampiezza di respiro e potenza nel panorama modesto della scultura celebrativa presente nella città rivierasca; e nel dicembre del 1959 per la conservazione e il restauro della torre della Ciapela19 minac­ciata da demolizione; nonché l’impe­gno profuso nella salvaguardia dei caratteri urbanistici di rilevante inte­resse storico-artistico-architettonico contro i piani regolatori riguardanti la sistemazione della Pigna.

«Pigna antica, quanta nostalgia! Le mura si serrano e vi prendono nella loro strettoia. I cornicioni sbocconcellati dai secoli, e stinti dalle intemperie, par che vogliano congiungerli sul vostro capo. E il silenzio vi avvolge. Poggiata a caval­cioni del colle della Costa, Sanremo vecchia sale, discende, si inerpica, si inabissa con le sue incredibili architettu­re sovrapposte, le sua mura caliginose, le sue strade e i suoi vicoli scavalcati da interminabili teorie di volte buie, di aerei archetti ammattonati nel più scompigliato dei modi, che hanno una sveltezza di cosa animata, incredibil­mente decorativa, che di per sé soli fanno già quadro. lvi, nella Pigna, è infatti a regno dei pittori, quelli di ieri, di oggi, di domani che non si stanche­ranno mai di ritrarne gli scorci più sce­ nografici, gli angoli più caratteristici, gli sfori più impensati. Pittori di ogni paese, stupiti di un tale splendore, che non è fatto per tutti gli occhi, perché l’occhio del pittore vede diverso e intuisce più profonde verità nella natura, che facevano presto a farsi amici i colleghi di qui, che in pittura tennero onestamente e con onore il campo di molteplici esposizioni. [ ] L’idea encomiabile di indire una rassegna d’Arte matuziana si ricollega con la mente e col cuore a quei tempi lontani. Costituisce pure un ideale congiungimento della Sanremo antica con quella moderna, ricca di turismo, grandi alberghi, mondanità e sfarzo.

La Mostra d’Arte in pien’aria, alla luce del sole, così come sbocciano le nostre rose e i nostri fiori, com’è di tutte le iniziative improntate a sincerità, non ha la pretesa di segnare nuovi divenire nell’Arte, di favorire l’affermarsi di nuovi gusti e di nuove mode, ma di continuare con dignità le piccole, sia pur modeste glorie di una tradizione, il promettente fervore di bene operare che arde felicemente negli artisti che onorano questa nostra terra benedetta da Dio, la maggior parte dei quali, sperando che un giorno si plachino le mordenti passioni intese a sostituire le teorie alle forme, si augurano, esponendo quanto di meglio hanno tratto dai loro Studi, nascosti nei più impensati angoli cittadini o dei centri della Provincia, di portare il loro cordiale e doveroso contributo all’auspicato ritorno delle compiute bellezze, delle abilità tecniche e delle indagini concettuali che costituirono sempre l’ossatura dell’Arte vera, dell’Arte italiana, Maestra nel Mondo»20.

Nell’ambiente sanremese Ferrari vive perciò un’intensa esperienza di scrittore e pittore, che si traduce in un linguaggio molto personale e riconoscibilissimo, di grande eleganza formale e insieme di immediata comunicabilità. L’artista seppe in tal modo abbinare alla capacità di creazione artistica una funzione di soste­gno storico-conservativo: battendosi con sicurezza gli conferì parte del suo piglio e vitalità, conscio del forte ed indelebile valore di esse per la nostra memoria.

«Giuseppe Ferrari, che, oltre a dipin­gere egregiamente è un buon critico musicale ed un valente scrittore, riprende con “Il viatico” e “Autunno nella città vecchia” (l’attaccamento al paese lo spinge a ritrarlo in tutti i suoi aspetti), la ricerca della tonalità, nel soggetto. Deliziosa anche la piccola tela “Il ponti­cello”. Da questa fusione, una narrativa pittorica di particolare interesse ».21

Gli scorci della Sanremo vecchia, i suoi affascinanti carruggi, i suoi ponti scomparsi, sono fra i soggetti più cari. Raffigurazioni di spazi architettonici e di elementi di natura ora in grandi oli ora in piccoli e vigorosi acquerel­li, pieni di disinvolta modernità e caratterizzati da pennellate sicure e rapide: esse gareggiano con la luce e l’ombra che non stanno mai ferme.

Per quanto espressionisti i suoi dipinti sono informati al rigore architettonico delle prospettive e a quello della forma umana e del movimento: in Ferrari è ammirevole l’amore e l’impegno profuso a ritrarre nella struttura, nella prospettiva e nel colore, palazzi e strade, raggiun­gendo un efficace verismo che sfugge al pericolo del fotografico, del banale e del commerciale e conservando, pur nella definizione dei particolari, una buona interezza d’insieme.

Nelle vedute cittadine, riprodu­centi ora il Ponte della Ciapela22 ora la Piazza di San Siro, l’aderenza alla verità architettonica non si traduce in un atteggiamento freddamente oggettivo, volto a rendere con minu­ zia tutta fotografica la realtà esterna, ma si anima di un intima vibrazione di colore e di luce. Le tinte hanno sfumature melodiche rivelatrici di mirabili orchestrazioni cromatiche.

Talvolta le vedute urbane sono animate da briose notazioni di costu­me, che rivelano la sua intelligente osservazione dei modi di vita della cittadina.

«La sferzata dell’acquazzone ha dato alla lesta una ripulita al paesaggio. Lavata la faccia alle case, rimessi a nuovo i monti sbiaditi.

Anche l’aria è più netta. Ora si apprezza ogni gradazione di verde.

Villanelle indomenicate le case vesti­te a festa fanno insieme una stoffa a quadratini e rettangolini di tutti i colori.

Quel giallo! L’ingenuità di quel cele­ste!» 23

«Giuseppe Ferrari da anni abbina degnamente penna e pennello. È un po’ lo storico della vecchia Sanremo e anche nei tre quadri che presenta al “Convegno” la vecchia “Pigna” v’è riflessa nel suo mondo particolare. Ferrari ha lavorato bene e molto sino a trovare in una nuova tecnica basata su un procedimento personale il mezzo di esprimere il suo mondo interiore.

Di quest’artista si annuncia intanto una “personale” che permetterà d’ ap prezzare la sua nuova vena e la sua nuova tecnica» .24

Nell’ultima produzione si avvicina a Carlo Carrà riflettendo una sua personale ricerca di pittura spaziale e plastica, nella linea che da Giotto per Masaccio conduce a Cezanne, che si esprime nell’elaborazione di una pittura di paesaggio di grande vigore, espressione di un’arte legata al recupero dei valori formali. È opera che segna il distacco dalla pre cedente produzione artistica: mediante l’uso di un linguaggio forte e penetrante si avvicina alla ricerca di un’arte atemporale, dominata da un rarefatto immobilismo giocato su effetti di morbido pittoricismo. Lo straniamento e l’isolamento sono per lui strumenti di concentrazione e di meditazione sugli aspetti plastici e cromatici della realtà. L’opera Casale (incompiuta) è conclusione della sua ricerca e insieme della sua vita.

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