Cantore del mare con l’incanto del colore
Maestro di valori etici, espressione del legame con la sua città

Il suo lavoro all’insegna della giovinezza, di quella longevità mirabile di un artista che fu attivo senza smarrimenti.

… C’è un che di spirituale nell’arte pittorica di Giuseppe Ferrari, che si anima di colori e di luce, di una tradizione più attenta alla gamma tonale ligure, tentata dalle gestualità della pennellata allusive al sintetismo colorista degli anni Cinquanta e Sessanta, più in fase esistenziale che ideologica e sociale. Porsi, insomma, il problema della coerenza di questo suo artista, in luoghi e incontri d’ammarcord, destinati alla memoria.
Di luoghi e incontri, nella rievocazione di figure del passato e di scorci storici di rapinosa meraviglia, nel suo portare ad esempio il loro carattere, e la sacralità di quei manufatti dove il tempo si è fatto pietra, con la gioia di un adolescente, all’insegna della giovinezza, nei paesi e nei borghi antichi, di scorci mozzafiato per regni di pittura, come Pigna e Bussana, nelle memorie più scenografiche della provincia di Imperia.
La mostra è un ventaglio consuntivo del lavoro e dell’avventura esplorativa delle tecniche e dei linguaggi in una sorta di equilibrio e armonia artistica, fra cavalletto, tavolozza e tavole e bozzetti per grafiche di intensa emotiva carica espressiva, dell’artista sanremese, pittore del Novecento, nato nel 1904. Portando ad esempio con la dirittura morale della sua identità, il senso dei sacrifici e le fatiche sopportate per amore di Sanremo, un’ineccepibile complessa esperienza, sprone a nuove future generazioni, a seguirne le orme.
Mai legato a nessun movimento moderno d’avanguardia, ma con libertà e flessibilità di sviluppo del linguaggio espressivo risonatore di bagliori di risveglio interiore. Di un acuto attento osservatore cacciatore di immagini, ricercatore infaticabile, nato per essere felice, al mare per quei tempi, con il sole e senza sole, capace di animare la realtà esterna di intima energia del colore, con quel suo relativismo mai scaduto a realismo concettuale, e della luce mischiata al colore, fin da quegli anni formativi, amico dello scultore Manzù, come egli stesso annotava nel 1926, sottolineando la stretta corrispondenza, nello studio, di ogni forma d’arte : “Chi sa fare il ritratto, sa fare ogni altra cosa… E la pittura si giova molto della scultura”.
Personaggio poliedrico, pittore di valore per la festosità cromatica, la rapidità di composizione e l’unità tematica, del lavoro assiduo di un maestro della pittura, che di dipinto in dipinto, rinnova uno stato di grazia espressiva di un’arte per amore della sua terra che esplode nell’esuberante festosità della pennellata colorista, bagliore interiore riflesso nell’immediatezza del tocco e del segno en plein air di quegli anni ’30, che cercava la forma. Quadri del “midi” contemplatori di giardini, luce e ombra delle verzure estive, marine incendiate dalla luce solare, sfuconatore di lavori di case e di siepi, di chiese parrocchiali e di processioni, entrambi affollate, di salite su passi carrai, e strade mulattiere, i vicoli della vecchia Sanremo.
Adoratore di cieli sereni e di ritratti familiari dai volti radiosi, di volti caratteristici dell’età e di nudi accademici sbozzati a sanguigna, frequentatore di quei giardini dell’eden di natura del sogno ad occhi aperti, che sono nell’infanzia e nella memoria di ogni uomo. Il sintetismo delle forme e della pennellata colorista, il segno plastico e slanciato, i piani cromatici vigorosi compresi nell’ impianto compositivo ed i fondali allusivi di quel lirismo prospettico calato nel sogno, attestano, negli anni a seguire, una stessa sorgiva sensibilità poetica. E sono espressioni di quella partecipazione emotiva verso l’uomo e la società, intesa quale amore d’impegno verso quel consorzio umano cittadino, in continua evoluzione generazionale.
Sia ben chiaro, non è Ferrari che cambia in rapporto con il mondo. E’ l’epoca con la sua progressiva caduta dei valori romantici, sistemi e modelli che hanno indotto molti pittori della sua generazione a modificare i loro modi di affacciarsi… avvertendo l’urgenza del bisogno di partecipare alla cultura cittadina, alla politica di gestione, all’impegno sociale. Per Pipin Ferrari, dotato di una eccezionale maturità di disposizioni artistiche e culturali, indicatori di un temperamento originale, associati a una memoria visiva che documenta l’ampiezza dei suoi interessi culturali e poetici, rientrato a Sanremo nel 1927, diviene Capo dell’Ufficio stampa del Casinò Municipale, avendo così modo di conoscere i più bei nomi del mondo glamour dello spettacolo e della cultura. E di vivere la nascita di numerose manifestazioni, che hanno segnato un tempo irripetibile di notevole valore culturale. Ardito, avido e entusiastico di esperienze nuove.
Il prorompente eclettismo del “Pipin”, per gli amici, ha messo in luce il lavoro culturale nella sua completezza. Critico d’arte e musicale, compositore lui stesso, cronista mondano e ricercatore d’archivio (documenti e vecchie cartoline della Sanremo perduta), scrittore di fatto di episodi, personaggi della Sanremo che fu, grafologo, perito d’arte e insegnante e vicepreside, anche se la sua vera vocazione fu quella del pittore “en plein air”, disegnatore caricaturista, non si può essere tacciati di retorica del ripetitivo, ma questo suo culto per les Beaux Arts, sottofondo di ogni attività, contribuisce a celebrare, l’importante figura di un artista e di cittadino. E per tramandarne ai giovani l’identità.
Anche se non avesse potuto esaurire tutti gli indicati registri della cultura, vissuta e onorata pari a un angolo giro, ormai in sella su percorsi prestigiosi, partendo dalla città che si apre a la Cote d’Azur, Pipin nel lessico corrente abituale fu anche pittore di gesto sacro e liturgico evocatore del centro storico, per lui metafora della sensibilità secolare dell’uomo-artigiano, per la necessità di vivere meglio in spazi risolti, con memoria e storia di un suo realismo… per dirlo alla Neruda, egli prende residenza totale nella terra dei suoi padri, trovandovi il gusto aspro delle lotte e delle battaglie profuse con sacrificio d’altruismo per il bene della sua amata città. Ma anche la trepidante scoperta della solidarietà tra l’umano e il divino nel sociale. Ferrari è sempre stato di nature intima e personale : uno stile di vita.
GRAFICHE : a quel periodo appartiene l’importante collezione esposta in mostre dedidicate alla grafica di illustrazione, alla scenografia, alla litigrafia di manifesti pubblicitari, raccolti periodicament sulle pagine del Gazzettino della Riviera dei Fiori, da lui fondato. Le nutrite serie grafiche vedono rappresentazioni caricaturali, realizzate con spirito acuto e disincantato, quale disegnatore di rara efficacia, dinamico nel catturare con il carattere, le abitudini note in città di quello tratteggiato, con quella bonaria satira che sferza … ridendo !
Gli anni compresi tra il 1957 e 61, lo vedono Presidente della Famija Sanremasca, nelle intenzioni formata in due sezioni : una per gli studi storici, gli usi e i costumi, e l’altra per le manifestazioni folcloristiche. Così tanto, per dare lustro a Sanremo, fino alla fine dei suoi giorni. Ma la sua vera vocazione fu quella della Pittura a olio, e degli Acquerelli, un arte difficile, che trova in Ferrari flessibilità, frutto di anni di ricerca e sperimentazione, senza considerare mai come traguardi i risultati ottenti. In ogni sua opera appare evidente la padronanza dei mezzi espressivi ricca di tessiture policromatiche e di forme armoniose, specie nelle varianze di floreali d’impressione e di pennellata sintetista, per una presa di visione d’immagine visionaria calata nel sogno (anni ’60). Sono quegli anni di maturità della mano pittorica e dello stilema, quando la produzione si avvicina al naturalismo-plastico-sintetista di un Carlo Carrà, riflettendo una sua personale ricerca di pittura avente luce e colore come protagonisti o in amalgama, cui la sua immaginazione, la sua libertà ricordano Cézanne, nell’elaborazione del paesaggio di grande vigore cromatico e formale. Ferrari cerca la propia natura dentro di sé, con un occhio pacato, con le sue parole poetiche e la modestia. La sua sincera ispirazione lo portano ad una trasfigurazione spirituale gestuale del colore, sul versante del simbolismo nei ritratti familiari.

Il progetto della mostra Antologica

E’ doveroso ricordare, secondo testimonianze documentate, Ferrari fu miglior critico di se stesso, un pò come Cézanne e Van Gogh. Nelle lettere al fratello Theo, ha dedicato dipinti e acquerelli, schizzi, grafiche e caricature, luoghi e incontri e vedute con gli uomini, e pensieri che ha incrociato. Che hanno segnato emozioni sguardi d’amore diversi. Questa sua gloriosa terra che arditamente aveva superato il mare e l’Oceano, per avvicinarsi ad altre nuove emozioni, avventure, scoperte di nuove terre, con le flessibili navi dei cantieri di Noli e Chiavari.
Affinità e debiti culturali ci muovono a queste considerazioni…, a parole progettuali, alla mistica del colore giallo-aranciato-rosa ligure, che hanno portato Ferrari, senza distinzioni, con aggiunte significative come la passione per le Chiese dei borghi storici, per I Chiostri e le confluenze dei centri urbani della vecchia Sanremo, con le sue palme svettanti e gli eucalypti, la via Roma del suo studio, gli scorci di luce, le piazze del “midi”, per ricordare. E poi l’Autoritratto, i ritratti familiari colti come incantamento da quel suo straordinario raffinato simbolismo evanescente, quando l’impressione interiore si coniuga con le sensazioni affettive e gli elementi spirituali.
Regni di pittura dell’anima, ai quali si è ispirato. Lo seduce l’essenzialità, il confronto tra la pittura e la modellazione plastica. Non meno, la conoscenza pura e generale del disegno, e il senso magico che ha saputo infondere nelle sue tele. La sua disponibilità e semplicità “fulminò” chiunque l’ebbe a conoscere, anche solo in una sua pubblicazione, al pari della sua carica emotivo-espressiva. Riflettendo sulla tela, con tutte le varianti tematiche, momenti contemplativi di meditazione assorta, la serenità di un attimo, di una tranquilla attesa, in cui l’ispirazione suprema avvolgeva la sua mente, consentendogli di creare ciò per cui vive.

Pipin-Ferrari. La Matita e il Pennello
Opere – Curata da Anna Ferrari, con la collaborazione di un Comitato di esperti dell’opera dell’artista Giuseppe “Pipin”Ferrari, l’Esposizione sarà articolata in quattro Sezioni, corrispondenti alle fasi principali della complessa composita attività dell’artista sanremese, in un arco cronologico che va dal 1920 al 1974 : “Ferrari ha lavorato molto bene…, scrive Silva Roldano nell’articolo apparso su il Secolo XIX del 21 aprile 1955, ha trovato in una nuova tecnica basata su un procedimento personale, il mezzo di esprimere il suo mondo interiore”.
Fondamentale per la comprensione della sua produzione artistica, l’opera grafica costituisce veri e propri nuclei tematici dell’opera del maestro, proponendo modi diversi, anche nella pittura, rispetto a tecniche e linguaggio, di indagare lo stesso tema. Punto di partenza per un percorso creativo lungo e complesso. Ma anche riferimento costante per il lavoro successivo, il Disegno occupa un posto preminente nella ricerca poetica e plastica di Pipin Ferrari, da collocarsi osservatorio privilegiato, per comprendere e valutare i risultati artistici dell’autore, sullo stesso piano della ricerca del maestro, intrapresa nella pittura, nella poesia e nella critica. A corredo della mostra, un Catalogo monografico, la Sezione del Disegno documenta una serie inedita  di disegni a matita eseguiti da Ferrari.

Partendo, in modo sistematico, dalla storiografia ufficiale dell’artista :
I – Disegni, bozzetti, caricature
I disegni a matita, i disegni a sanguigna, eseguiti all’Accademia Albertina di Torino (Anni ’20). Si tratta del più ampio nucleo di disegni rappresentativi, eseguiti negli anni 20.
Con una sorta di percorso attraverso il tempo, l’artista, dagli anni ’20 in avanti, dedica alla grafica d’illustrazione, insieme al racconto dell’intero suo modo di vivere l’arte, di pensare, un gioioso alzare il tono della sfida…grafica. Bozzetti e caricature di personaggi tratti dalla quotidianità abituale cittadina, più in vista, e familiari. Una sfida per l’ottimismo del buon umore, accolto un tempo nelle pagine del Gazzettino della Riviera dei Fiori, rivela ancora l’attuale freschezza di un ribadire con il disegno, l’urgenza al ritorno di un arte viva, gioiosa, “globale”. La nutrita serie grafica vede rappresentazioni realizzate con spirito acuto e disncantato.
La grafica di Ferrari, con tratto a volte caustico ma sapido, dinamico nel catturare carattere e abitudinidell’effigiato, la volontà di riportare l’arte nella vita, attraverso percorsi operativi deliberati dagli strumenti tradizionali del disegno e dello schizzo, e della pittura, nelle loro più composite forme. Mai fuori dagli schemi imposti dal sistema dell’arte, questa Sezione ha saputo, nelle opere come nel tempo,mantenere intatti i valori più profondi, quale espressione del legame con la città, nella convinzione partecipe dell’artista, con la sua carica umanitaria, e la scottante attualità dei suoi problemi sociali e politici.
L’attitudine più totale di essere contemperanei, per l’arte, di Pipin Ferrari , fuori dall’ideologia tirannica del moderno, agisce in territorio liberamente come esercizio purista, volto alla tutela del carattere storico artistico della città natia.

II – I Dipinti a Olio
La Sanremo di Pipin e I suoi dintorni – C’è un filo sottile ma non invisibile che lega I due poli contigui della parola chiave per decifrare la seduzione fascinatoria del moto profondo, istintuale, tra intimistico e il romanticismo del colore sintetista che prende forma. Un potere connaturato alle vibrzioni psichiche che, la trasfigurazione di regni di pittura, come Sanremo, Bussana e Pigna, eccita sotto la pelle dell’artista, coinvolgendo emotivamente l’osservatore.
Una nutrita raccolta di dipinti tra tele e tavole a olio, mai scaduti a capricci di fantasia, innervati proprio sulla cultura romantica del paesaggio, con i vecchi borghi, le suggestioni del mare, il cielo azzurro della Riviera, amalgamati dalla luce solare. Ferrari, artista, colto, ha capito la città amata. Ne ha estratto i succhi di un “travisamento” dell”anima che, come diceva Diego Valeri, quando l’anima s’india si fa “giuco di Fata Morgana”. Sanremo, città e giardino di natura, è la città più amata del mondo. Qui, principi, regnanti e l’alta elite culturale, hanno posto la loro dimora, all’ombra dei grandi palazzi della Liberty, del Casinò e della Chiesa Russa; ne hanno apprezzato, con il Corsod egli inglesi, i viali delle palme, e i grand’Hotel, i dipinti trasfiguranti di colore segnico, la bellezza de la Cote d’Azur. Proprio per la loro qualità allusiva e trasfigurante.
Pipin Ferrari, con una nutrita produzione, duttile nelle risorse dei moti dell’animo, tra naturalismo e fscinazione del simbolismo colorista, frenesia del suo segno sensitivo sintetista, dagli anni ’50 fine alla fine del suo lavoro, ci lascia sulla retina la sensazione di un gioco ritmico post-impressionista nella pennellata, nei guizzi brevi affiancati avidi di sfumature e di geometrie coloriste, di musica stregata. Di un inafferrabile riflesso equareo della luce, di una luce che si mischia col colore, ora scheggia colorista al limite dell’astrazione.
E’ ciò che Ferrari ha cercato di imprigionare nei suoi quadri. Anche luci e vapori atmosferici, fino alle soglie dell’informale di gesto. Di poi, il colore negli anni ’20 e ’30 era naturalistico, e i segni, le morfologie versate a luce e ombra e alla macchia, avevano un non che di Zibaldone accademico-Cézanniano, prima maniera. Come non lasciarsi sedurre da quella sua nobiltà d’impressione dell’aere-motilità, con cieli bambagiosi o affollati di stracci rosa di nuvole, evocatori della mano di Alfred Sysley ? Quelle opere del primo polo pittorico, hanno il presagio della tonalità felice e dell’unità poetica. Quello che potremmo dire “spazio aperto alla disponibilità dello spirito”. Quella nobiltà, più che di percezione, l’aveva appresa con il latte materno, e con l’educazione del padre, entrambi esponenti di una delle famiglie più antiche e nobili della Liguria.
Fin dall’alto della cattedra di Brera, aveva sentito forte lo stimolo del Maestro Alciati, di tipica scendenza lombarda, il movimento per lui non era soltanto ritrarsi dallo stupore di una veduta mozzafiato, nella vibrazione psichica delle sensazioni ricevute, quanto nella ricerca di una luce propria interiore, connaturata e amalgamata con il colore. Gradatamente la sua pittura si dibatteva in un’oscillazione tra continuità del linguaggio accademico e l’ansia di uno sviluppo del pensiero pittorico, laicamente aperto allo spirito di rinnovamento, sorretto da una ipersensibilità per il colore. Ed anche da una eccezionale ricerca luministica, quando nel periodo, 1930-70, qualifica la sua immediatezza del suo “en plein air”, il segno e il colore diventano tutt’uno.
Avventura eccitata, la tavolozza diventa più brillante e timbrica, immaginosa nelle colorazioni. E negli spazi cromatici, l’eleganza rituale di un discoso basato sul rinnovamento linguistico, volto all’accoppiamento e all’amalgama dei colori, ottiene certi impasti legati agli effetti dell’ora solare, di rivisitazione Monet, che danno delle meravigliose risultanze di vitalità.

III –I Ritratti
Ritrattista di talento, nelle magie del colore, con la psicologia della percezione, fascino e vitalità del colore, denso di qualità percettive di un analista dell’anima, è dimostrato nel ritratto di “Vecchio”.1925, ove tecnica e linguaggio espressivo, sono in equilibrio per una autentica, intensa, autoriflessiva, metafora dell’-io- autobiografico. Carica espressiva sui modi di apparire dell’espressione come nell’impianto. Ferrari, con la psicologia della percezione unita all’esperienza dei vari modi di rappresentare ogni forma d’arte, sui vari modi di apparire di un colore, ha saputo ritrarre con rara sensibilità, l’intimo della natura umana.
Nella nutrita serie e categorie di ritratti cittadini e familiari, così nella ritrattistica mondana e ufficiale, si sofferma sul rigore formale dei lineamenti e del colore di superficie. Il colore appartiene al soggetto, e l’artista è compositivo non solo nel colore filmare. E’ compositivo sull’intimità espressiva, quando il colore è colore di volume (“Modella”-olio su tela.1928). “Chi sa fare il ritratto, sa fare ogni cosa” diceva nel 1926, partendo dal discorso sui colori primari e secondari, sulle situazioni, chiarezza e sequenze delle tinte. Più importante l’osservazione, non meno quella precisa dei tratti fisionomici.
Brevi e nervose pennellate a ritrarre lo spirito dei soggetti, attraverso la luce e i suoi contrasti, quando è mischiata col colore (“Autoritratto”-olio su cartone.1950), interpretati con vivezza naturalistica. Qui, l’osservazione tra realtà e irrealtà si coniuga mediante l’osservazione dei vari modi di apparire di un colore. Quando lo sguardo penetra, trapassa, quale sinestesia di un accordo cromatico di chiara interpretazione di un’armonia intuitiva, quale percezione simultanea dei moti dell’anima.

IV – Gli Acquerelli
Mentre il 15 aprile 1957, il giornalista Ferrari è chiamato a ricoprire la carica di 1° Presidente della Famija Sanremesca, e il suo discorso di apertura, nel quale dichiarava di “amare questo limbo di terra mediterranea e di volerlo, bello, prosperoso nel ricordo delle sue tradizioni”, è l’anno in cui egli inizia progressivamente a ridurre la produzione ad olio, per dedicarsi con maggiore impegno in ricerca, alla realizzazione di acquerelli, che divengono – tecnica d’esecuzione assai difficile – l’esercizio a lui prediletto : per le condizioni sperimentali spaziali e ambientali, sui modi di apparire del colore.
Si potrebbe osservare, che la pittura ad acquerello, anch’essa piena di fascino e di vitalità, rispetto alle armonie, si basa sui modi veri e propri di apparire di un colore, e della sua gamme tonali fantastiche e visionarie. Gli acquerelli di Ferrari, intensi per valori espressivi appaiono investiti da colori panici, nel paesaggio così nelle atmosfere che trascorrono in modulazioni di sogno, divenuto metafora di incarnazione di un ambiente sognato. Altresì, per l’artista che può trovare questi rapporti fra la natura, la poesia e l’arte, la suggestione preziosa del sogno è uno spunto chiarificatore della propria lirica visione : L’interazione con la natura è più complessa.
L’acquerello, per Ferrari, è la testimonianza del rapporto armonioso d’equilibrio tra l’uomo e la realtà, e lì vi abita. Le sue opere si presentano infatti come fantastiche metafore, atmosferiche, ambientali, del contrasto tra luce e ombra, come esiti di prendere corpo del sogno (“Ponte della Ciapela”-acquerello su cartone.1968). Intriso di dinamismo, Ferrari realizza opere come eventi naturali che aprono a loro volta inesauribili ulteriori evocazioni sognate, e verità proiettive che si trasformano in scrittura allusiva : vale a dire, stimolare lo spirito, lasciando alla fantasia un campo d’azione.
E dunque l’acquerello non deve porsi lunico scopo di rappresentare la natura, un luogo, o uno scorcio urbano, Ma soltanto di evocarli (“Vicolo della Pigna”-acquerello su cartone.1968). Ferrari opera ovviamente ben oltre il contesto epocale del suo linguaggio allusivo, ma ne pratica la concezione dell’arte come attivazione spirituale, attraverso il sogno, mediante un’espressività figurata delle immagini più sottilmente astratta, fede nella realtà superiore del ricordo… inconscio, come nel gioco disinteressato del pensiero.

Considerazioni finali
Il notevole valore culturale di questo progetto, sta nell’avere compiuto ed esposto ricerche documentabili, attinte dagli archici storici della biblioteca civica di Sanremo e dei Musei, del Casinò Municipale cittadino, e testimonianze familiari, e alle fonti bibliografiche. Nonché negli archivi delle gazette locali e regionali, presso gli assessorati e direttivo della Famija Sanremesca. E di avere illustrato complessivamente, con valore critico, un artista ed un uomo colto, cultore di Belle Arti, di penna, matita e pennello, con una passione innata, alla quale ha affiancato l’amore per la famiglia e la sua città, sempre ancorato, fino alla fine, alla sua prediletta Sanremo. All’arte Pipin Ferrari – per gli amici ed estimatori ed i suoi familiari- ha dato la propria inestimabile ricchezza, peculiare alla cittadina dei Fiori, sforzandosi di farne fulcro di progresso, volano del proprio sviluppo culturale e sociale. Sequenze cronologiche testimoniano i fatti nello specifico, le risorse dell’arte, il ricordo indimenticato della sua produzione pittorica di rilevante valore artistico, per la critica e il mercato. Un patrimonio culturale, indicatore, ai dati, di presa emotive affettiva sulla città, alla terra, alla storia e alle sue tradizioni, paga il ricordo affettivo popolare, di uno splendore, di presa emotiva globale sulla città. La testimonianza ricca di frequentazioni, scritti e manifestazioni popolari e per l’alta società, spettacoli di alto livello di richiamo nazionale, cui si accendono ancora i riflettori di quegli anni passati, a rinnovare, innovellando nell’attuale, valori che il consunismo ha disatteso o distratto… Nell’aver tracciato il profilo ritrattista di un personaggio che fino alla fine dei suoi giorni, si era impegnato, con eclettismo straordinario, a dare lustro a Sanremo, lavorando per far conoscere e conservare l’esempio dei valori morali ed i suoi tesori storici e culturali,da tramandare alle nuove generazioni, sproni a seguirne le orme. Per l’amore totale per l’arte trasfuso sulle sue tele ed i suoi acquerelli, ci sia consentito, nel coacervo delle contraddizioni di qualsiasi dibattito, per aggiungere nuove oggettive testimonianze, sempre a favore, da cui resta difficile restituire fisionomia netta, personale, culturale e sociale, nel sottolineare l’esempio di onestà, di esercizio al virtuosismo del sapere e della creatività, e la sua voglia di mete più ambite …, lontane dai vacui modelli dell’apparire. A vantaggio della qualità della vita e rispetto a quella dell’arte, e dell’impegno sociale di Giuseppe Ferrari, dovrebbero costituire momenti imprenscindibili.

Dott. Alfredo Pasolino, critico e storico dell’arte
(dal progetto di Mostra Antologica del 2010)